Interni di famiglia
Avete presenti quei film in cui un inventore, mezzo svitato, assembla una macchina in grado di riportare i protagonisti indietro nel tempo?
Bene, Andrea Troisi, per niente svitato e anzi ben piantato nella realtà del suo tempo, ha escogitato qualcosa di simile, proiettando i suoi personaggi nella rarefatta dimensione della propria cultura umanistica, di appassionato studioso dell’arte.
Dunque, non un cervellotico ed estemporaneo giochetto di prestigio, come in quei film, ma la complessa operazione culturale di un pittore, volta a riannodare i fili di un percorso il cui prologo è impresso nella nostra fulgida storia.
Questi esperimenti, riuscitissimi e coinvolgenti, hanno avuto per attori – cavie i componenti della sua paziente famiglia, ritrovatisi, come d’incanto, a soppiantare importanti personaggi del passato, immortalati dai più grandi artisti dell’epoca, come principi e signori, dignitari e munifici mecenati. Così, il padre Vincenzo si è sorpreso ad indossare le sfarzose vesti di “Enrico VIII” e Andrea, per l’occasione a gestire la colta tavolozza di Hans Holbein il Giovane; la madre Maria Luisa ad assumere le vesti sobriamente eleganti della “Dama con l’ermellino” di Leonardo, e lui a gestire spudoratamente lo sfumato del sommo; la sorella Cristina ad interpretare la “Dama con liocorno” di Raffaello. E cosa dire quando egli stesso si appropria, con arguta scelta, dell’identità di Albrecht Dὒrer, infilandosi senza ritegno nell’ “Autoritratto con guanti”?
Semplicemente geniale, soprattutto per l’introspezione che lo conduce a quel pittore e non ad altri, un artista la cui personalità (un teutònico sensibile alle sirene neoplatoniche) ben gli si attaglia.
L’operazione, però, non autorizza, nella maniera più assoluta, a ipotizzare la figura di un giovane introverso, involuto in una pseudo realtà di comodo, rifugio accogliente e ovattato nel quale azzardare simulazioni destinate a nascere e perire nell’arco di una fugace elucubrazione.
No, Andrea, che conosco da tempo, è un giovane colto e intelligente, spiritualmente dinamico, pienamente proiettato nella caotica cultura del suo tempo che, come tutti noi, domina e a volte subisce.
I molteplici interessi che lo spingono, e che a volte lo travolgono, costituiscono la linfa necessaria a rigenerarne continuamente la vitalità. Difficile immaginarlo, anche solo per un tempo sufficientemente lungo, in un sol posto. Non è nel suo DNA: se c’è un corso di lezioni a Siena lui parte e va, se c’è una mostra di pittura a Parma o a Lucca o non so dove, lui riempie il borsone e via!
Non so i suoi familiari quando e quanto riescono a vederlo, ma sono sicuro che ne apprezzano la poliedrica vivacità e ne sostengono gli slanci creativi.
La caparbietà del carattere, la ferma convinzione nelle sue idee gli hanno permesso, nel tempo, di costruirsi una corazza che lo protegge dagli urti della vita.
Ma ritornando alla sua intuizione pittorica, palese nella fruizione di questa mostra “Natura in posa, Interni di famiglia”, risulta subito evidente l’esemplificazione di quanto descritto sopra: per Troisi avventurarsi e cimentarsi nei meandri di quella complessa trama di tecniche e culture pittoriche che permeano il Rinascimento, è come aprire di soppiatto una porta e far capolino, con il piglio dissacrante, ma a suo modo deferente, dello studioso che rilegge un’epoca, i suoi interpreti, i cantori che l’hanno consacrata, attraverso l’occhio attento e disincantato dell’uomo contemporaneo.
Tutti gli elementi che definiscono il costume di quella società, vengono assunti, rivisitati e rielaborati alla luce di una schietta e sobria rilettura. La garbata ironia con la quale assegna ai propri familiari i copioni rispondenti alla sua sceneggiatura, non sminuisce l’assunto di una storia tanto radiosa, ma addirittura, paradossalmente, ne amplifica la portata, in quanto capace di aprirsi un varco anche nella complicata vita contemporanea.
I suoi dipinti potrebbero addirittura essere accompagnati da una colonna sonora sulla base di musiche rock o di “spirituals neri” o, perché no, di composizioni dodecafoniche, sostituendo, senza scalfirne il valore, il suono di ocarine e arpe, di flauti e viole. E anche quando assembla fotogrammi della quotidianità, come “Gatto sulla poltrona” o “Natura in posa” o “L’attesa, notte di Natale”, la collocazione scenografica rimanda inequivocabilmente allo stesso contesto storico in cui si muovono i suoi personaggi.
Dὒrer e Hans Holbein, Raffaello e Leonardo sono circuiti e bonariamente sbeffeggiati, non con l’intento di sminuirne il carisma bensì con l’amichevole deferenza di colui che ne ha percepito e assunto l’incomparabilità, la suprema unicità, la divina discendenza. E vuole entrare, con un affettuoso buffetto sulle guance, nelle loro grazie.
Virginio Quarta